Demoni

Titolo: Dèmoni
Paese di produzione: Italia
Anno: 1985
Durata: 88 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: Horror
Regia: Lamberto Bava
Soggetto: Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Dario Argento, Lamberto Bava, Franco Ferrini, Dardano Sacchetti
Produttore: Dario Argento
Casa di produzione: D.A.C. Film
Distribuzione Italia: Titanus
Fotografia: Gianlorenzo Battaglia
Montaggio: Piero Bozza,Franco Fraticelli
Effetti speciali: Sergio Stivaletti,Angelo Mattei
Musiche: Claudio Simonetti
Scenografia: Davide Bassan
Costumi: Marina Malavasi,Patrizia Massaia
Trucco: Rosario Prestopino,Giacinto Bretti

 

Interpreti

Natasha Hovey: Cheryl
Urbano Barberini: George
Karl Zinny: Ken
Paola Cozzo: Kathy
Fiore Argento: Hannah
Fabiola Toledo: Carmen
Nicoletta Elmi: Ingrid (maschera del cinema)
Stelio Candelli: Frank
Nicole Tessier: Ruth
Geretta Geretta: Rosemary
Bobby Rhodes: Tony
Gianguido Baldi: Tommy
Bettina Ciampolini: Nina
Sally Day: Carla
Eliana Hoppe: Edith (ragazza film horror)
Jasmine Maimone: Nancy (ragazza film horror)
Marcello Modugno: Bob (ragazzo film horror)
Lino Salemme: Ripper
Claudio Insegno
Enrica Maria Scrivano: Liz
Alex Serra: Werner
Michele Soavi: uomo mascherato / Jerry (ragazzo film horror)
Claudio Spadaro: ragazzo di Liz
Lamberto Bava: primo uomo che esce dalla metropolitana
Giovanni Frezza: bambino della jeep
Goffredo Unger: autista della jeep

 

 

 

demoni

 

 

Berlino. Nell’alienazione di una metropoli tedesca, una studentessa, Cheryl, riflette sé stessa nei volti di un caotico scompartimento della metropolitana. Le porte si aprono, i contorni del silenzio la cingono, improvvisamente, il rimbombo dei propri passi echeggia fotocopiandosi nell’aria. Viene seguita da un uomo dal volto scisso, una maschera metallica riveste metà faccia. Sperduto lo spavento, accetta un invito per la prima al Metropolitan, un nuovo cinema. Entusiasta chiede un secondo biglietto. Cheryl e l’amica Kathy colgono l’occasione per saltare una noiosa lezione. L’architettura gotica del cinema contrasta con lo scintillio iper-moderno delle luci dei locali, dei negozi. Una cattedrale medievale, nel chiaroscuro dello sfondo, rimembra La Chiesa di Soavi.

L’ingenuità delle protagoniste, scosse dall’incepparsi di una Coca-Cola nel distributore, l’allegria banale di una visione come tante, la conoscenza di George e Ken. Un’armatura templare concede il benvenuto all’entrata, cavalca una moto, la maschera dall’effige demoniaca scintilla sul manubrio. Una donna la indossa, inscenando uno squallido carnevale, procurandosi un minuto taglietto. La pellicola proiettata è un film nel film: un gruppo di ragazzi incede nelle tenebre di un antico cimitero sepolto dalla coltre del tempo, violando la sacralità della tomba di Nostradamus, custode di una maschera tossica, identica a quella esposta, come mera scenografia, all’ingresso del cinema. L’ecatombe dell’orrore. La donna lievemente ferita dalla maschera si reca in bagno, dolorante. Una bolla demoniaca partorisce, dal suo collo, l’inferno pestilenziale che ammorberà gli astanti presenti alla proiezione.

Il film replica, in un perfetto sincrono, le urla agghiaccianti dell’amica infettata, per prima, dalla genitrice del male che, invasata dalla trasformazione in demone, perfora da dietro lo schermo congiungendo, in un  parallelismo, finzione e realtà. Nel fervore di un panico incontrollabile, i passi febbricitanti degli spettatori si riversano alle uscite, inspiegabilmente murate, l’isolamento della morte. Kathy gorgoglia nella propria metamorfosi, dapprima di spalle, dispiegandosi nella pornografia di un corpo inumano capace di generare un demone. Quattro punk in una macchina, la cocaina santifica l’abitacolo, innevandolo. La polizia. Una via di fuga, mortale, la porta del Metropolitan si apre. L’unica ragazza del gruppo subentra in un anfratto, uno specchio violenta l’interezza dell’inquadratura, capelli biondi cotonati, rossetto in mano, bocca prona per il trucco, la prima posseduta rinchiusa, in un’illusione di salvezza, alle spalle, affamata di vita, la conquista.

I prigionieri erigono una muraglia di sedie per isolare la galleria dall’attacco dei mutanti. Calore, sudore, pustole virali. George e Cheryl sopravvivono cavalcando la moto scenografica perfettamente funzionante. Il rombo del motore viene inglobato nella violenza carnale della musica. Un elicottero frantuma il soffitto, cadendo delicatamente, senza straordinari infortuni. I due ragazzi conquistano il tetto, quel manto lisergico, claustrofobico, deflagra, in una corolla d’aria momentanea. L’oscuro figuro metallicamente mascherato, dispensatore dei biglietti per la prima, resuscita, frapponendosi all’aere notturno, rivestito di presagio. Verrà eliminato, inutilmente. Il morbo flagellatore ha pervaso l’umanità, l’interno del cinema è diventato l’esterno, i rivoli dei marciapiedi, l’intercapedine rassicurante casalinga, l’essenza del quotidiano, sono collusi nell’indecenza della possessione. Una Jeep sopraggiunge. Una famiglia salvata frantuma l’asfalto, cercando superstiti. George e Cheryl salgono. Rassicurante parvenza di un finale desiderato. Cheryl è infetta, la trasformazione è in atto, viene abbattuta, nella naturalezza di un gesto dovuto. Il suo corpo rotola, in primo piano, concedendosi allo spettatore, nell’efferatezza di un’apocalisse possibile.

Gli effetti speciali di Stivaletti vestono l’intera pellicola, riempiendo alcuni vuoti strutturali dei dialoghi e della sceneggiatura. La colonna sonora incalzante di Simonetti, unita ad alcuni classici di Scorpions, Saxon, Billy Idol, Go West, Mötley Crue affresca, scolpisce il film. L’interpretazione dei protagonisti è falsata da un doppiaggio non sempre effervescente e partecipe. Natasha Hovey nella semplicità monocorde del suo dilettantismo risulta, paradossalmente, involontariamente convincente. La bieca accettazione di un biglietto, lo stupore infantile, grottesco, dinnanzi all’inverosimile, inconcepibile, cesella un perfetto archetipo femminile mediocre, indifeso, davanti al tripudio dell’inferno: un cavaliere pronto a sorreggere gli eventi, pronto a salvare la donzella, decapitando il nemico, in sella ad una moto. Fiore Argento è un contorno che sussiste nel suo corollario senza pretese. L’atmosfera claustrofobica, surriscaldata, di un interno che rigurgita sé stesso all’esterno, defecando raccapriccio, in un’esplosione subitanea, è il suo punto di forza. Un classico anni ’80, puntellato di inadeguatezze, indecisioni, magistralmente ineccepibile nella capacità di conturbare ed accecare l’amatore, rapendolo.

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