Thanatomorphose

Titolo: Thanatomorphose
Paese di produzione: Canada
Durata: 100 minuti
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Lingua: Inglese
Genere: Gore
Regia: Éric Falardeau
Soggetto: Éric Falardeau
Fotografia: Benoît Lemire
Montaggio: Benoît Lemire
Casa di Produzione: Black Flag Pictures, ThanatoFilms
Distribuito: Bounty Films
Interpreti e Personaggi:
Kayden Rose: Laura
David Tousignant : Antoine
Émile Beaudry: Julian
Karine Picardas: Anne
Eryka Cantieri: Marie
Roch-Denis Gagnon: Stefan
Pat Lemaire

 

 

Recensione del film Thanatomorphose
Recensione del film Thanatomorphose

 

 

Musica electro-house, rintocchi funerei, amplesso immerso in schizzi di luce cremisi, ombre, movimenti porno ad infrarossi. Incedono i violini della “Guild of Funerary Violinists”. L’ensemble reitera le composizioni dei Violinisti Funerari Seicenteschi. Controbilanciavano l’assenza dell’intercessione nel rituale funerario.

Inizia la prima parte: Despair.

Laura si guarda allo specchio, l’alter ego nella voragine, la tela di Dorian Gray. Antoine, il fidanzato, beve del latte dal frigo, è rancido, lo sputa, preludio di un’avaria incombente. L’uomo, completamente disinteressato alle esigenze della compagna, si dirige in camera per vestirsi e andarsene. L’atto sessuale incarna l’essenza del rapporto nel suo mediocre mondo avulso da sentimentalismi. Un chiodo nel pavimento si conficca nel suo piede, impreca accanendosi con Laura che, sottomessa, lo accudisce silenziosa nell’angusto, spoglio bagno.
Una bolla di nevrosi, distacco, veste i protagonisti, il sangue è in  primo piano. La tristezza della donna circondata dalla tenebre è in antitesi con il corpo sfumato di Antoine che si abbiglia, arrogante, egocentrico. Laura pone su di un cavalletto la sua scultura incompleta coperta di bende, l’appartamento minimalista è affastellato dalle scatole del recente trasloco. La sua corporeità risulta nebulosa mentre toglie la fasciatura dall’opera che il regista non intende farci scoprire, l’inquadratura è sfasata. Il violino riprende. Apatica, infusa di malinconia, cerca di riporre alcuni oggetti estraendoli dagli imballaggi, ma viene vinta da se stessa, coperta dal chiaroscuro angosciante dell’appartamento si accascia sul divano. La ripresa in cucina sdoppia Laura, prende un bicchiere, beve, si siede nello stesso istante, un flusso temporale indistinto, azioni quasi cicliche, vuoto pneumatico.
Si affloscia, sola, nel miserevole letto osservando una crepa sul soffitto similare ad una vagina lubrificata, prende a masturbarsi. Silenzio.

Al mattino la spaccatura ha assunto le sembianze di una vulva chiusa. Nella doccia principia la discesa nel girone infernale, la disgregazione fisica, spirituale. Le unghie cominciano a cadere, nella rassegnazione di un evento improcrastinabile, Laura cerca di contenerle con dei cerotti. Esegue le medesime funzioni mattiniere dinnanzi allo specchio, trucco, capelli, completamente indifferente a quello strano accadimento. Si veste e possiamo scorgerla in lontananza, spettatori impotenti della tragedia in divenire. Rientra con la posta, “Siamo spiacenti di informarla…”. Nella claustrofobica cornice dell’appartamento il mondo esterno si palesa attraverso una missiva disfattista, l’ennesimo diniego che copula con l’alienazione.
Il campanello suona. Arrivano gli amici. La cordialità falsata cede il passo a dialoghi mediocri, imbevuti di birra, le chiedono della sua borsa di studio, insistono per vedere la statua, nel diniego, irritato di Laura. Sentiamo Manipulation dei Black Angels. Antoine visibilmente ubriaco la denigra sprezzante, potrebbe esporre la creazione senza il suo consenso, un eventuale pubblico ludibrio. Un ematoma sul mento colpisce gli astanti. Laura si alza, mesta, per prendere del vino, mentre il fidanzato alterato prosegue il suo sproloquio. Julian la segue cercando di scuoterla dal torpore in cui è caduta accettando di perpetuare la relazione con Antoine: anelerebbe aiutarla, le bacia la mano teneramente, come un cavaliere di altri tempi, dipana la propria sensibilità maschile, antitesi al gretto materialismo sessuale del compagno. L’alcol scorre, la luce fioca inquadra i commensali accerchiati dalle scatole, quel trasloco sembra scevro di evoluzione, una catasta di ricordi, pezzi di vita incartati sul pavimento. Il padrone di casa irritato dagli schiamazzi e dalla musica fa concludere, bruscamente, la riunione. Julian accomiatandosi la bacia lascivo scatenando l’ira di Antoine che la schiaffeggia, invasato, pretendendo l’ennesimo accoppiamento. La blocca ottenendo il dovuto davanti allo specchio del bagno, muto spettatore della sopraffazione di Laura, costellata da lividi, deturpata nell’anima, nei sentimenti, patetico involucro entro cui scaricare sperma.
Come un cadavere si lascia dominare ancora sul letto sgualcito, non sente niente, è assente da se stessa. Squadrando il vuoto mormora ad Antoine che altri potrebbero darle di meglio. La stoltezza animalesca dell’uomo sfocia nella violenza sessuale. Sentiamo “The Dizzy Flight of Death” dei Hieronymous Gratchenfleiss. Laura è stanca, non vuole replicare quella copulazione, il piacere è oramai perduto, il suo corpo è un guscio che sta marcendo, ha abbandonato la scultura, quel tedio esistenziale è uno Spleen inoppugnabile. Antoine russa, dorme tranquillamente, le parole disperate, fredde, della donna sono scivolate leggiadre nell’oblio della notte: Laura vomita sul letto, sviene nel bagno, la sua pelle è vestita da ecchimosi. Vermi, decomposizione, carogne, il suono viscido della deteriorazione. La fenditura sul soffitto pare una vagina putrefatta. Intarsiata da ematomi, tumefatta, si trascina in bagno, prende un inutile analgesico, il cuore grondante tatuato sembra guasto esso stesso. Le mani sfuggono la presa del rubinetto, i vetri rotti della bottiglia di birra la fanno cadere. Una scheggia si incastra, profondamente, nel cranio. Il sangue sgorga facondo. Il tempo blandisce la perdita dei sensi. Laura al risveglio è plumbea, in necrosi, rimuove la scaglia toccandosi la massa cerebrale scoperta. Sperduta nel palliativo razionale, fascia la testa.

Il campanello suona. Julian si avvicina, crede che sia stata picchiata dal fidanzato, cerca di aiutarla. Laura distorta nella mutazione rifugge dal possibile soccorso, la mente regredita ad una forma ancestrale, le suggerisce di inchinarsi nuovamente al desiderio maschile. L’amico non è passato per pura casualità. Inizia a baciarlo, scende lungo il suo corpo e pratica un fellatio. La testa medicata, impregnata di fluidi, oscilla nel movimento ritmico, Julian le tiene la nuca, percepisce scampoli di cervello nella mano, pervaso da un ininfluente disgusto, continua a farsi mungere. L’uomo è disumano con Laura, come tutti gli altri, ammanettato alla soddisfazione dei sensi, non rifugge dall’orgasmo con una moribonda. Chiude le palpebre ed estingue quel corpo in putredine.
Il telefono squilla, l’aria rifugge di gemiti e sonorità crepitanti, gassose. Conclude vomitando istantaneamente lo sperma. Julian si ricompone, lo sguardo brandisce quel grumo di carne per un secondo, senza proferire parola, fugge in un fremito di orrore. Riversa sul pavimento, respira affannosamente. Il violino sopraggiunge.
Urina sangue e defeca materiale organico. La decomposizione dall’interno è avanzata. Immagini infrarossi: un coito subito, l’autopsia di Laura, l’incisione della carne simula un atto sessuale, uomini e donne rinchiusi come animali in una gabbia pasteggiano con le sue membra.

Violino: Another. Adattatasi al nuovo stato persevera nelle proprie abitudini, annientata da atroci dolori si fa una doccia, si trucca. Lo specchio le mostra la realtà, l’ignominia della maschera mortuaria. Distrugge lo specchio/tela per trascinarsi nuovamente nel letto assunto a feretro. Laura scruta quell’inquietante crepa, si masturba e le dita corrodono ulteriormente la carne ammuffita nella ricerca disperata della “piccola morte”, oltre la vera oramai prossima.
Incatenata nella sordidezza dell’appartamento dai toni rossi e neri sigilla le finestre con drappi e plastica, una luce fioca, nebulosa, penetra dalla finestra, timida testimonianza del mondo esterno, vivo. Si immerge in una vasca carica di ghiaccio, le cadono i capelli. Il violino si sovrappone al suono vischioso della morte. Oscura anche lo specchio. La pazzia della metamorfosi . E’ sola. Il compagno lascia uno sterile messaggio alla segreteria. Toglie le bende alla scultura, nella consonanza palpabile vi innesta brandelli del proprio corpo.

Laura non potrà togliersi le fasciature, crollano i denti, le dita. Travolta da un razionalismo glaciale prende i suoi arti perduti e li adagia in un barattolo colmo d’alcol, fotografandoli con un polaroid. Lucidità scientifica. Catalogazione nel dissesto. Irrompe il fidanzato mentre è sotto la doccia. Il tanfo cimiteriale lo travolge. Laura cerca un contatto, violento, simile a quelli che Antoine era solito dispensare. “Chi ti credi di essere ?” urla, rabbiosa mentre l’uomo perso in conati di vomito la insulta, ancora. Lo uccide. Si masturba rivivendo il momento dell’assassinio, un untuoso suono molliccio accompagna lo sfregamento, Laura finalmente ha un orgasmo, la sua rivincita, l’eliminazione del prevaricatore, del maschio dominante orgoglioso nell’umiliazione. Estrae i vermi incastrati nelle carni con le stesse pinzette con cui curava le sopracciglia, le mosche ronzano in un crescendo esasperante. I suoi occhi sono ciechi. La musica iniziale usurpa la rapsodia visiva, un uomo forgia la sua bara, Laura vi si corica.

Tilt musicale, black-out: Oneself . Telefono squilla. Julian ascolta il suo richiamo, si fa strada nel pertugio delle tende appese, il fetore è insopportabile, la trova nel letto, decomposta, vorrebbe portarla in ospedale. Laura vuole essere posseduta, non accetta il suo rifiuto, chiede con rabbia se non la trova più attraente. “Vuoi che te lo succhio come l’altra volta?”. Lo reputa un vigliacco, anche Julian riverbera orrore dinnanzi alla nuova condizione, la desidera solamente come Antoine, scevro dell’amore che lei anela.

Le mosche sono assordanti dietro al panno insanguinato, ombre cinesi, percepiamo dialogare. Laura lo accoltella, ripetutamente, urlando, indemoniata. Il fidanzato è avvolto nel sudario plastico. I piedi decomposti non la sorreggono uscendo dalla vasca, cerca l’estrema definizione della scultura che viene sovraneggiata dalle scaglie della distruzione biologica. Ira, odio, scopre lo specchio. Si toglie gli occhi. Il ronzio è asfissiante, torreggia insinuandosi nella putrida risacca del corpo di Laura che strisciando si avvicina a Julian. Erosa da insetti sarcofagi, in un rantolo si accascia, il corpo si macera definitivamente nell’urlo agghiacciante di ossa infrante. L’inquadratura finale concede il corpo di Laura smembrato, un coagulo informe, indistinto nell’ottusità di un raggio di sole. Crepitio. Morte. Il violino conclude.

Nel film Thanatomorphose il processo organico viene presentato nella sua ferocia didascalica, assistiamo pietrificati all’annientamento corporeo e spirituale di Laura, morta d’accidia in vita. Eric Falardeau segue l’insegnamento gore di Jorg Buttgereit con il suo NEKRomantik, eludendo completamente innesti grotteschi, ironici, per consacrarci l’epitaffio della disperazione, dell’isolamento, dell’annullamento esistenziale. L’analisi diligente della mutazione cadaverica instaura un evidente parallelismo con la pornografia: l’atto emancipato, ingrandito, nella sua meccanicità, annulla il contesto dell’integrità.
Nella precipitazione nell’oblio Laura risponde all’angoscia liquefacendosi nella libido, ricercando un pertugio vitale. Solo l’onanismo può condurre all’estasi, l’unico amore possibile è con se stessa. Gli uomini mistificatori, stuprano la sua essenza, si fondono senza empatia, un oggetto animato. Il loro sesso ricusa la morte che albeggia nella vita, canalizza la sostanza del rapporto, emancipandosi oltre ogni altra sfaccettatura emozionale.
Il corpo martirizzato dal trapasso appassisce la bramosia di Antoine e Julian, il sesso è vita. Laura cerca una possibile spiritualizzazione della carnalità, vorrebbe addolcirla dalla sua intrinseca crudeltà, corruzione, annullamento nell’altro, nei suoi desideri. Nel film Thanatomorphose i rapporti interpersonali assumono la personificazione dell’odio. Il sesso non è amore, e se l’amore non è presente l’erotismo si smaterializza in una forma di astio. Laura è corrotta, sopravvive nel limbo nichilistico della rassegnazione. La sua arte è scomparsa, il compagno orbita nella sua vita, distrattamente, intervalli sessuali, la nuova abitazione tenebrosa, scarna, riflette la sua anima, autodistruttiva, gorgogliante nell’accettazione passiva di un destino scritto. Come nelle pitture di Schiele, Laura assume sul proprio volto l’icona funebre, morte incarnata, esibizione patetica dell’esistenza, nel piacere sessuale, nella sofferenza eterna.


IMDb

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *